Le elezioni regionali 2020 in Emilia Romagna e in Calabria verranno ricordate a lungo per diversi motivi. Sono state innanzitutto le prime consultazioni influenzate in modo indiretto dal movimento delle Sardine e le prime a vedere un’Emilia Romagna realmente contesa dopo 50 anni di governo “rosso”.
Ma sono state soprattutto delle elezioni con due trend contrapposti: da una parte c’è l’Emilia Romagna, protagonista di una vera e propria mobilitazione popolare testimoniata da un’affluenza alle urne che ha sfondato quota 67%, dall’altra parte invece abbiamo la Calabria, dove più di un elettore su due ha deciso di disertare l’appuntamento elettorale.
Nelle ultime elezioni regionali (2014) anche in Emilia Romagna c’erano stati simili tassi di astensionismo. Cosa è successo, allora, di diverso rispetto al 2014? E perché le forze politiche calabresi non sono riuscite a mobilitare gli elettori come invece è accaduto in Emilia Romagna? Per comprendere a pieno la situazione è bene analizzare il contesto elettorale.
La scelta strategica di Salvini in Emilia Romagna
Matteo Salvini ha puntato molto sulle elezioni in Emilia Romagna. La sua campagna elettorale è iniziata di fatto subito dopo l’estate, ovvero con l’insediamento del nuovo governo giallorosso. Vincere nella regione rossa per eccellenza avrebbe significato rafforzare in maniera inequivocabile la Lega come primo partito del Paese, legittimando la richiesta leghista di tornare subito alle urne.
Come fare, però, ad espugnare lo storico fortino della sinistra? La scelta del leader della Lega è stata chiara: gettare fango sul lavoro fatto dalla sinistra in 50 anni di governo regionale e soprattutto trasformare una competizione locale come quella emiliano-romagnola in un vero e proprio referendum sull’esecutivo e su Salvini stesso.
Vinciamo in Emilia e mandiamo a casa il Governo abusivo.
Questa è stata una delle frasi più ricorrenti durante i suoi comizi, un vero e proprio slogan ripetuto in maniera incessante con l’obiettivo di far diventare questa elezione una competizione nazionale a tutti gli effetti. Storicamente, tra l’altro, le elezioni regionali hanno avuto una connotazione “politica” maggiore rispetto alle comunali, dove invece conta di più la credibilità e l’affidabilità dei singoli candidati. “Nazionalizzare l’Emilia Romagna”, dunque, non era un’impresa impossibile e Salvini ha provato a realizzarla.
Per vincere questa sfida la Lega ha deciso di rendere sempre più aspri i toni della discussione con l’avvicinarsi delle elezioni. L’apice è arrivato, non a caso, nell’ultima settimana con l’iniziativa “Digiuno per Salvini” che ha fatto seguito al voto della giunta per le autorizzazioni a procedere sul caso Gregoretti e poi con l’ormai celebre “citofonata” al presunto spacciatore di Bologna. Questa strategia aggressiva e polarizzante ha visto Salvini esporsi sempre in prima persona, oscurando di fatto la candidata della coalizione di centrodestra, Lucia Borgonzoni.
Quella che doveva essere, quindi, una sfida tra la Borgonzoni e il governatore uscente Bonaccini è diventata invece uno scontro tra Salvini e lo stesso Bonaccini e soprattutto una battaglia campale tra la nuova destra sovranista e la vecchia sinistra che in Emilia Romagna ha radici molto antiche.
Il coraggio di Bonaccini, Elly Shlein e della coalizione di centrosinistra
Stefano Bonaccini, dal canto suo, ha cercato soprattutto di esporre, anche in maniera piuttosto forte, tutte le debolezze della propria avversaria diretta e di presentarsi agli occhi dell’elettore come un amministratore credibile e radicato sul territorio (non è casuale la scelta di utilizzare il verde su tutti i materiali elettorali in quanto colore storico dell’Emilia Romagna).
Nessuna battaglia nazionale, quindi, ma un’elezione locale e che, in quanto tale, si gioca sui temi legati al territorio.
Al di là di tutto, però, la coalizione di centrosinistra è riuscita a vincere queste elezioni grazie soprattutto al coraggio mostrato in campagna elettorale. Bonaccini, ad esempio, ha avuto il coraggio di rivendicare con forza i risultati ottenuti nei suoi cinque anni di governo e soprattutto di offrire una visione chiara della sua Emilia Romagna.
Un punto, quest’ultimo, condiviso dall’altra chiara vincitrice di questa tornata elettorale: Elly Schlein. L’ex europarlamentare, candidata nella lista Emilia-Romagna Coraggiosa, è entrata in consiglio regionale con un autentico boom di preferenze, oltre 22mila voti.
Il merito della sua campagna elettorale è stato proprio quello di offrire agli elettori una visione chiara della società, soprattutto su alcuni temi cari alla sinistra come l’immigrazione, l’ambiente e il lavoro. Il punto più alto della sua cavalcata è stato sicuramente il video nel quale chiede esplicitamente a Salvini perché la Lega abbia disertato le riunioni europee sulla riforma del Trattato di Dublino, ovvero il regolamento europeo che stabilisce i criteri di ripartizione dei migranti arrivati in Europa.
https://www.facebook.com/ellyschlein1/videos/176382777068867/?__xts__[0]=68.ARAAFe321rIGVokCOFkWN_1lihEkZgIyPnqhGTj-vultsQSZ8-DiLgSfEzMsNCZuBz4H2XHRPpLMFy3LyhLS7lxPQcPWDI9qilSTRgQ4jlGeC_Y-68IhZFs0d9nGtzjAfwo3Ut7LkuO0e1ICgM-qf98vSeC-_K1Id1jTSaH1JKoh0jRAWCHAmOIQGFu-f9zZEW8AasiMxZhNx1wfSmjxDhmz67HpCpFE_mj5wjHQnj-496V_igtEZmlPjG8N298aC8WK9-9rbtpYYIfoNHfyNx991y4Xqg0Ha-485PXKjkMgDct_Nv2jgRvSBuWP2YXhvmTdQ4a0tQ&__tn__=H-R
La forza del messaggio della Schlein è stata proprio il suo essere diretta, per nulla ambigua sui temi fondamentali e soprattutto credibile su questioni come l’immigrazione considerata anche la sua esperienza nel Parlamento europeo.
Il coraggio di Bonaccini e in generale della coalizione di centrosinistra, insieme al cosiddetto “effetto Sardine”, è stato una delle chiavi della grande mobilitazione popolare avvenuta il giorno delle elezioni. Molti elettori che in precedenza si erano astenuti o avevano votato per il Movimento 5 Stelle hanno scelto, infatti, il “buon amministratore” Bonaccini e rifiutato il modello di Emilia Romagna e di Italia proposto dalla Lega salviniana.
Pippo Callipo e una campagna elettorale (quasi) mai iniziata
Il caso calabrese, come accennato in precedenza, rappresenta per certi aspetti l’opposto di quello emiliano. Il tasso di astensione è stato elevatissimo e la campagna elettorale è stata una delle più brevi e opache degli ultimi anni. Le uniche scintille, per così dire, sono arrivate prima della presentazione delle liste, quando il Partito Democratico e la Lega hanno posto il loro veto alla candidatura rispettivamente del governatore uscente Mario Oliverio e del sindaco di Cosenza Mario Occhiuto.
Per il resto è stato un lento trascinarsi fino al giorno delle elezioni quando la coalizione di centrodestra, guidata da Jole Santelli, ha rispettato le aspettative della vigilia vincendo con più di 25 punti di distacco (!) su Pippo Callipo, l’imprenditore del tonno sostenuto dal PD.
Al netto del risultato abbastanza prevedibile (in Calabria vige la “legge dell’alternanza”, con sinistra e destra che si alternano con regolarità al potere), la domanda che in molti si fanno è la seguente: la coalizione di centrosinistra poteva fare di più?
La risposta è assolutamente sì. Quella consumatasi il 26 gennaio è infatti una sconfitta pesante, mitigata solo in minima parte dal fatto il Partito Democratico risulti il partito più votato a livello regionale.
Pippo Callipo e il suo cartello elettorale non sono riusciti a mobilitare l’elettorato progressista e neppure a coinvolgere quelle Sardine che in Emilia Romagna hanno svolto un ruolo importante per il risveglio della partecipazione democratica.
Uno dei motivi del fallimento dell’esperienza Callipo è stata la mancanza di coraggio. La parola scelta per veicolare e declinare il messaggio del candidato presidente del centrosinistra durante la campagna elettorale è stata “fiducia“. Fiducia in Callipo in quanto persona e imprenditore onesto, umile, capace di rappresentare lo spirito autentico dei calabresi e di costruire un’eccellenza nell’industria agroalimentare decidendo di restare in Calabria.
Un messaggio sicuramente positivo e autentico, ma probabilmente non in grado di attivare i territori convincendoli che potesse innescarsi un cambiamento nella politica calabrese. La “rivoluzione dolce” invocata da Callipo è stata, infatti, abbastanza povera di contenuti e poco incisiva in termini di tone of voice.
Sono mancate, ad esempio, prese di posizione forti su temi quali la sanità, il lavoro e le infrastrutture, ovvero tre priorità della prossima agenda di governo. Callipo si è limitato ad affermare che averebbe affidato le deleghe relative a questi settori a persone competenti, senza offrire però una propria visione complessiva di Calabria. È mancata, infine, anche una strategia e una voce comune tra le varie liste e all’interno delle liste stesse. Una maggiore collaborazione avrebbe sicuramente fatto da megafono alle idee di Callipo.
Jole Santelli: una campagna senza voce
Una campagna elettorale coraggiosa, in grado di risvegliare il senso di comunità dei calabresi, avrebbe potuto creare qualche disagio alla coalizione di centrodestra. La candidatura di Jole Santelli, infatti, è stata sicuramente una scelta conservativa ma per certi aspetti attaccabile.
La nuova governatrice della Calabria è una figura molto conosciuta all’interno di Forza Italia e ha un rapporto personale di amicizia con Silvio Berlusconi. Santelli non possiede però quella carica carismatica e innovativa che può essere un valore aggiunto in campagna elettorale, oltre ad essere rappresentante di una classe politica da oltre vent’anni nelle posizioni di vertice del Paese.
E non è un caso che il centrodestra abbia scelto un profilo molto basso nel mese scarso di propaganda elettorale, con pochi e isolati attacchi agli avversari (portati per lo più dalla Lega) e pochissime proposte sul futuro della regione. Di fatto la Santelli si è limitata ad amministrare il vantaggio, evitando “scivoloni” e in alcuni casi schivando il confronto diretto con i suoi rivali.
Gli unici sussulti della campagna elettorale del centrodestra sono arrivati con le visite in Calabria di Salvini e Berlusconi, con una Santelli che è sembrata però, anche in questi casi, sempre defilata. C’è da dire anche che sulla campagna elettorale di Jole Santelli ha pesato una tracheite che le ha impedito più volte di parlare in pubblico. Insomma, quella della Santelli può essere considerata una propaganda afona in tutti i sensi.
Tuttavia la sua strategia si è rivelata comunque efficace grazie soprattutto ad un Callipo che, se escludiamo alcuni moti di orgoglio finali, si è dimostrato piuttosto arrendevole e agli altri due avversari, Aiello e Tansi, lacerati da lotte interne o penalizzati da liste elettorali molto deboli.
La campagna elettorale calabrese ha veicolato, in via definitiva, l’idea di una Calabria “grigia” che cerca la fiducia senza mostrare il coraggio necessario per ottenerla. Questo elemento è stato una delle chiavi di una sconfitta annunciata per il centrosinistra, arrivata però – di fatto – senza neanche scendere in campo.