Comunicazione e politica. Un binomio che ha sempre caratterizzato la storia dell’umanità e indirizzato le linee del potere. Ma mai come in questi anni dominati dai social e dal web, la questione ha assunto una centralità dirompente.
È democrazia? I fatti di Capitol Hill e non solo
Venerdì 5 febbraio siamo stati invitati dall’associazione politico/culturale Innova Rende all’evento “è democrazia? Social network, fake news, information warfare e algoritmi: come cambiano politica e società”. Un’iniziativa che ha avuto tra i relatori il nostro Rocco e che ci ha permesso di riflettere sullo stato di salute della nostra democrazia e degli ambienti digitali.
I recenti fatti di Capitol Hill, promossi da gruppi di estrema destra nati e cresciuti sul web, hanno reso necessaria infatti una discussione generale sulle distorsioni del web; problemi che in verità vengono da molto lontano ma che solo oggi generano disorientamento e preoccupazione per la vita stessa delle istituzioni democratiche.
Vita e funzionamento delle minoranze organizzate
Proprio l’assalto al Congresso degli Stati Uniti è un episodio che ci fa capire come funzionano le reti sociali con tutte le loro potenzialità e criticità. Al centro dei fatti di Washington c’è una minoranza di persone che si è mobilitata sul web tramite la diffusione di contenuti complottisti e di fake news sull’esito delle elezioni americane e che, grazie agli ambienti digitali, è riuscita a strutturarsi e a diventare sempre più pervasiva ed influente.
Non si tratta, però, di un fenomeno nuovo e circoscritto. Già alla fine del 2009, per restare in casa nostra, il cosiddetto Popolo viola e poco più avanti il Movimento 5 Stelle erano stati un esempio di come un gruppo organizzato possa incidere nella vita democratica e occupare le istituzioni partendo dal web.
Tutti questi episodi ci dicono che la rete svolge, attraverso i propri algoritmi e le proprie regole, la funzione di amplificatore delle minoranze organizzate; ma sono queste ultime ad influenzare il dibattito e a polarizzarne i contenuti grazie una grande capacità organizzativa.
Il compito della politica deve essere quello di regolare (non subire) questi fenomeni attraverso la propria autorevolezza. Ma non sempre questo accade.
Il politico follower
I social, essendo un enorme megafono disintermediato delle opinioni, offrono ai politici la grande opportunità di influenzare e modificare la percezione comune. Questa influenza, però, può essere esercitata in due modi. Il politico può decidere, ad esempio, di utilizzare la propria autorevolezza, la propria competenza o il proprio carisma per dettare in prima persona l’agenda.
In questo caso abbiamo davanti un vero “influencer”, ovvero una persona in grado di influenzare le opinioni e le azioni delle persone. La storia è piena di politici e personalità pubbliche che sono stati influenti, ben prima dell’avvento dei social. Da John Kennedy a Gandhi, passando per Martin Luther King, Margaret Thatcher e Barack Obama.
La maggior parte dei politici odierni, però, specie in Italia, non rientra in questa categoria. Appartiene semmai ad una tipologia di influencer che potremmo definire come “follower”, ovvero colui che letteralmente segue il sentire comune, magari tramite appositi tool di misurazione del sentiment online, e si fa influenzare da esso.
Capite bene che si tratta di una differenza sostanziale tra chi utilizza la comunicazione e le sue innovazioni per indicare una strada e chi invece sceglie di rincorrere le idee di altre minoranze organizzate. Quello di Donald Trump e del Partito Repubblicano americano è un esempio calzante da questo punto di vista.
Negli ultimi anni l’ex presidente degli Stati Uniti e molti esponenti del GOP hanno scelto di “strizzare l’occhiolino” ai gruppi estremisti e complottisti dell’alt right americana, ritenendo che la polarizzazione della contesa politica potesse favorirli. E così è stato, almeno per un periodo di tempo.
Il risultato, però, è stato devastante per la coesione sociale e la solidità delle istituzioni democratiche americane. Ecco perché la politica del following, per quanto sempre più diffusa e vincente nel breve periodo, rischia di essere pericolosa se non riscopriamo al più presto il valore del dialogo, dell’unità e della comprensione anche negli ambienti digitali.